Una legge approvata… importante, necessaria, civile. E’ un punto di partenza. Oggi, l’Unione Europa pone la disabilità in cima all’agenda dei diritti umani. A prova di ciò ha ufficialmente ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità. Ciò implica che tutte le istituzioni dell’Unione Europea devono sostenere i valori della Convenzione in tutte le politiche di loro competenza, assicurando l’incorporamento della disabilità: dal trasporto al lavoro, dall’informazione e tecnologie per la comunicazione alla cooperazione, allo sviluppo. Questo significa, anche , che dovranno rendere accessibili a tutti i propri edifici, gli impieghi e la politica di comunicazione. Al centro il “disabile”. Il punto di vista della dottoressa Nina D’Agati
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Chiamami con il mio nome!
Apro la mia pagina di facebook e subito sulla mia home page compare un link con l’immagine di due persone che conversano . Uno chiede all’altro:“ ma dimmi, come ti devo chiamare? Handicappato? diversamente abile? Disabile oppure Invalido?” e l’altro risponde: ”chiamami semplicemente con il mio nome, Mario.”
Da sempre si è cercato di dare una definizione di chi vive in una condizione di difficoltà.
Oggi si accetta quella di “disabile”. Ora, però, non voglio perdermi nelle stesse perchè a poco giova parlare di quale definizione sia più appropriata , ma mi soffermerei a riflettere su cosa stiamo veramente facendo per i “disabili”, quale azioni stiamo mettendo in atto per renderli veramente parte attiva di una società che chiede persone dinamiche, autonome e capaci di reinventarsi e farlo velocemente. Mi fermo anche ad immaginare lo stato d’animo di chi, nel pieno possesso delle facoltà mentali, vive direttamente o indirettamente questa condizione.
Mi capita di parlare spesso con genitori di figli disabili.Ciascuno di loro racconta le proprie paure, i timori e poi arriva quella domanda: “ che futuro avrà mio figlio?
Che farà quando io non ci sarò? Adesso è bambino, ma domani quando sarà adulto chi si prenderà cura di lui?” Purtroppo non riesco a dare loro una risposta ( anche se dentro di me mi dico che la risposta ce l’ho davanti) , quindi in silenzio, annuisco. In un altro momento passa davanti un’anziana madre con il figlio adulto, disabile.
Un genitore anziano che magari spesso deve chiedere aiuto all’altro figlio che a sua volta ha una famiglia con figli piccoli a cui pensare, un lavoro e tutti gli impegni della vita quotidiana. Se vogliamo possiamo anche aggiungere l’altro genitore infermo a letto.
Oppure quell’altro caso di persona paralizzata che non può uscire fuori, con la sedia a rotelle, per andare a comprare il pane perchè le infrastrutture non sono adatte. O, ancora, il genitore con il figlio adulto, disabile, che deve affrontare mille peripezie per riuscire a trovargli una struttura ricreativa che lo impegni durante la giornata.
Credo che poco si stia facendo a favore di chi vive queste difficoltà.
Tra le poche iniziative alcune si prestano per una reale inclusione affinchè il disabile sia realmente integrato, altre, invece, si presentano banali là dove il disabile appare come colui da esibire per toccare la sensibilità della gente dai quali aspettarsi approvazione o forse compassione.
Eppure recenti provvedimenti Europei hanno dato un messaggio forte e chiaro: oggi, l’Unione Europa pone la disabilità in cima all’agenda dei diritti umani. A prova di ciò ha ufficialmente ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità. Ciò implica che tutte le istituzioni dell’Unione Europea devono sostenere i valori della Convenzione in tutte le politiche di loro competenza, assicurando l’incorporamento della disabilità: dal trasporto al lavoro, dall‘informazione e tecnologie per la comunicazione alla cooperazione, allo sviluppo. Questo significa, anche , che dovranno rendere accessibili a tutti i propri edifici, gli impieghi e la politica di comunicazione.
Ma le leggi in alcuni casi non trovano piena applicazione. Anche se esiste una legislazione questa si scontra con la realtà:barriere architettoniche , pregiudizi, indifferenza fanno da contorno a qualche sporadica iniziativa che , in alcuni casi, rimane banale nel significato dell’inclusione e dell’integrazione.
La disabilità è “un problema che riguarda tutta la società” , abbiamo l’obbligo di occuparcene , di creare le condizioni per una reale inclusione, integrazione e garanzia dei diritti della persona con difficoltà.
Ianes ha affermato che “Tutti siamo speciali” ed ognuno di noi ha delle potenzialità e delle risorse da far emergere.
Questa è la chiave di lettura con cui guardare ai disabili: creare le condizioni affinchè possano sentirsi parte attiva della società.
Non un “loro” da esaltare ed adulare quale azione che etichetta, separa , discrimina, ma una “ Speciale normalità” in funzione della quale mettere in atto delle strategie adeguate affinchè sia data loro l’opportunità di relazionarsi , di affermarne l’identità, l’appartenenza,migliorarne l’ autostima e sentirsi parte integrante e attiva della società, nel rispetto delle proprie problematiche.
Chi vive in una condizione di particolare difficoltà ha bisogno di un aiuto concreto , stabile e costante.
Nina D’Agati
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