Lo studio è sinonimo di impegno, fatica, sacrificio, rinuncia, senso del dovere, parole a cui i nostri ragazzi sono poco avvezzi, anche per responsabilità di noi genitori. Chissà se siamo ancora in tempo per recuperare. Così Maria Azzurra Ridolfo, del circolo culturale “Libriamoci” di Brolo, prendendo spunto dell’incontro letterario con la scrittrice Paola Mastrocola si lascia andare ad una serie di considerazioni che spaziando dalla lettura all’esperienza culturale-letteraria appena vissuta guarda al,.mondo della scuole e dei ragazzi con assunzioni di ruoli e responsabilità.
“E‘ uno strano caso di insegnante che fa tante cose: scrive romanzi, alleva galline e capre e sogna di vivere in una stanza tutta per sè, leggendo libri in poltrona ed accarezzando di continuo un gatto morbido“.
Sono le parole con cui Paola Mastrocola descrive la maestra Tolmer in “Che animale sei, storia di una pennuta” edito da Guanda nel 2005.
Ho scelto questo brano perchè lo trovo estremamente autobiografico, non certo perchè immagino che l’autrice ospiti un pollaio nel suo salotto, o un gregge di pecore in giardino, quanto perchè sono immagini che ritroviamo nei suoi romanzi, “La gallina volante“, esordio narrativo del 1999, e “Non so niente di te“, del 2013, e che sembrano rispecchiarne l’indole più intima.
La professoressa Mastrocola non è solo un’ insegnante, è un’appassionata studiosa di letteratura, con “un amore forsennato per il Decadentismo”, autrice di testi teatrali, di pampleths critici, di romanzi dalla prosa scorrevole ed elegantemente comprensibile.
Romanzi in cui ironia e amarezza, superficialità ed introspezione si fondono sapientemente seducendo i lettori di tutte le età. Delle vere e proprie favole moderne, insomma, dove la natura e gli animali divengono strumenti di rivincita e di riscatto rispetto alle delusioni della quotidianità.
Penso al pioppo di Gaspare Torrente, alle galline volanti della professoressa Carla, al gregge di Filippo Cantirami, tre degli innumerevoli esempi che potrei utilizzare per concludere che, a mio avviso, uno dei grandi pregi delle opere della professoressa Mastrocola è quello di regalarci la dimensione parallela del sogno, della fantasia, della metafora, del paradosso. Una dimensione colpevolmente tralasciata, la cui valenza pedagogica, tuttavia, è universalmente riconosciuta sin dai tempi di Esopo e Fedro ma che non risulta spendibile perchè poco ancorata alla realtà mentre è sulla concretezza, sul saper fare e non sul sapere, sull’immediatezza del risultato, sulla velocità, su un discutibile concetto di massimizzazione del risultato che oggi si calibrano istruzione e formazione. Ed alla professoressa Mastrocola questo modo nuovo di formare, istruire ed apprendere non piace proprio.
Lo aveva già esternato in “La scuola raccontata al mio cane” nel 2004 e lo afferma nuovamente, con decisione, nella sua ultima fatica “La passione ribelle”, un saggio critico edito da Laterza nel 2015. Si tratta di un vero e proprio manifesto di elogio dello studio, o meglio, del “gesto pazzesco di studiare“. Pazzesco perchè studiare è considerato un’attività secondaria a tutte le altre, noiosa, poco attraente, da sfigati, da asociali. Chi studia è bizzarro, è diverso, è l’eccezione e non la regola e si vergogna della sua “passione ribelle”, tenta di nasconderla o di soffocarla. Per la nostra autrice, la vera ribellione sta proprio nel’opporsi a questo appiattimento culturale, a questo livellamento verso il basso del sapere, perché “è un male che lo studio sia spartito” ed “un mondo in cui non si studia è peggiore di uno in cui si studia”. La vera ribellione è studiare, concedersi il lusso di “stare” soli, in un luogo appartato, in compagnia di un libro, indugiando sulle parole, senza limiti di tempo, senza fretta, senza un fine immediato, pensando, riflettendo, scollegati da tutto il resto, disconnessi.
Il termine disconnessione per i nostri ragazzi è sinonimo di catastrofe perchè la compagnia virtuale li fa sentire parte di un tutto infinito, li distrae dal pensare, dal guardarsi dentro.
E guardarsi dentro fa anche un po’ paura perchè si potrebbero scoprire cose di cui vergognarsi, per esempio che Petrarca non è poi così male e che Cecco Angiolieri ha un suo perchè, o che ci piace il latino. E come giustificare questa passione agli occhi di una società che non dà più valore allo studio? “Chi studia si ferma e sta”, e sceglie di essere statico, solido e non liquido, rinuncia al movimento, al dinamismo, alla flessibilità.
La nostra società, però, richiede velocità, non lentezza ed è oneroso conciliare l’esigenza intima di “stare” con quella concreta di non “restare” fuori dal nostro tempo, avulsi dalla realtà.
Lo studio è sinonimo di impegno, fatica, sacrificio, rinuncia, senso del dovere, parole a cui i nostri ragazzi sono poco avvezzi, anche per responsabilità di noi genitori.
Chissà se siamo ancora in tempo per recuperare.
Maria Azzurra Ridolfo
Paola Mastrocola ha incontrato i ragazzi delle scuole a Gliaca di Piraino e a Patti dove è stata ospite anche della libreria “Capitolo 18”.
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