L’INIZIATIVA E’ A CURA DEL MOVIMENTO POLITICO CULTURALE “R.S.I. – CONTINUITÀ IDEALE”
L’incontro rientra tra quelli che voglion fare un focus sugli avvenimenti e sui personaggi della “nostra” storia e si terrà sabato 8 ottobre 2016, alle ore 10,
nel Salone degli Specchi di Palazzo dei Leoni, corso Cavour, 86 a Messina.
Ettore Muti è stato un militare, aviatore e politico italiano.
Romagnolo verace e convinto fascista fin dagli esordi del movimento, partecipò alle iniziative delle squadre d’azione, ricoprì numerose cariche tra cui quella di Segretario del Partito Nazionale Fascista.
Venne ucciso, a 41 anni a Fregene nella notte tra il 23 e 24 agosto 1943.
Diverse circostanze confermano la tesi dell’esecuzione politica.
Di certo c’è soltanto che poco dopo la mezzanotte di quel giorno, una squadra al comando di un ufficiale dei Reali carabinieri, si presentò alla villetta dell’ex gerarca.
L’ufficiale gli intimò di seguirlo. Muti – come si legge nell’articolo di Michelangelo Bellinetti pubblicato su POL – si vestì della propria uniforme di tenente colonnello della Regia aeronautica militare e si avviò fuori di casa circondato dai militari della squadra. Ad un certo punto, un fischio ruppe il silenzio. Al fischio ne rispose un altro. Dopo si scatenò l’inferno: raffiche di mitra, bombe a mano, fucilate e spari di pistola. A terra finì Muti, colpito alla testa, di spalle, da un colpo di mitra.
Ma chi aveva ordinato l’esecuzione?
I fascisti della Repubblica sociale, di lì a qualche mese, non ebbero dubbi: l’ordine assassino era partito da Badoglio che temeva la fedeltà di Muti al fascismo e quindi da lui un colpo di mano contro il nuovo governo o contro la sua stessa persona.
Nel dopo guerra sulla vicenda di Ettore Muti esplose una violentissima polemica giornalistica tra un settimanale neofascista, «Asso di bastoni», e Badoglio.
Il giornale accusò il maresciallo della morte di Muti e pubblicò un documento dal quale risultava l’ordine autografo di Badoglio al capo della polizia per la eliminazione di Muti.
Il processo clamorosamente stabilì la falsità del documento e quindi l’innocenza di Badoglio.
E allora chi era stato il responsabile del tragico agguato di di Fregene?
Un’ipotesi venne cautamente avanzata e coinvolgeva il generale Carboni, l’uomo del controspionaggio, il generale che doveva difendere Roma nel settembre del ’43 dai tedeschi e che invece non difese nulla.
Sta di fatto che nessuna certezza chiarì mai la morte di Ettore Muti.
Un eroe nell’iconografia fascista.
Anzi era l’eroe più popolare. Sul suo petto, come si diceva allora, brillavano decine di altissime decorazioni guadagnate nella prima guerra mondiale, nella campagna d’Etiopia, nella guerra di Spagna. Giovanissimo, non ancora sedicenne, si era arruolato volontario tra gli arditi per entrare poi in quei reparti passati alla storia come i «caimani del Piave». Finita la guerra era corso a Fiume, obbedendo all’ordine ribelle di d’Annunzio. Qui era diventato uno degli «uscochci» del Comandante che lo aveva appunto soprannominato «Jim dagli occhi verdi». Poi, rientrato a Ravenna, era diventato uno dei capi delle squadre fasciste che avevano incendiato la Romagna e non soltanto la Romagna. Entrando poi in Aeronautica, aveva combattuto nei cieli più arroventati d’Africa e d’Europa.
Insomma, Muti era un mito vivente. Dalla sua, aveva pure la prestanza fisica dell’eroe: bello, aitante, beffardo e impunito, inseguito dalle donne, incarnava nell’immaginario collettivo italiano il prototipo esemplare del fascista, figlio del suo tempo.
Mussolini nel ’39, sollevando Starace dalla segreteria nazionale del Partito, aveva pensato bene di affidare l’incarico a Muti.
Così l’eroe si era trovato da un giorno all’altro ad essere il numero due del regime.
Ma quello non era il suo posto. Infatti, dopo nemmeno un anno, era ritornato a fare il pilota di caccia-bombardieri sul fronte orientale.
Ovviamente la visone dell'”eroe”sul fronte opposto è diversa. Al punto che recentemente a Ravenna è stata bagarre su una manifestazione per commemorarlo dove l’Anpi si è scherata contro quello che volevano fare gli Arditi d’Italia.
Con l’ Anpi, sindacati, due deputati (di Sinistra Italiana e Possibile), liste civiche locali ed il giovane sindaco Michele De Pascale (Pd) che ha definito “pericolosa” la commemorazione, chiedendo al Prefetto di vietare al cimitero “l’ingresso alle persone munite di bandiere, drappi o vessilli”, e “ogni tipo di orazione all’interno dell’area cimiteriale e ogni gestualità inneggiante al fascismo“.
Comunque al tempo il governo Badoglio, nato dopo il 25 luglio 1943, lo considera una “minaccia” perché crede che possa riorganizzare i fedelissimi del Duce ora che i Savoia si sono tolti di mezzo Mussolini. Il presidente del Consiglio – uomo di mille stagioni – manda a chiamare Muti, gli ordina di convincere la divisione corazzata di camicie nere Littorio di obbedire al nuovo esecutivo, ma il colonnello si rifiuta.
Dopo pochi giorni dopo viene ucciso, a 41 anni.
L’assassinio di Muti – rimasto un mistero – lo trasforma definitivamente in un mito, quasi un nume tutelare per i fascisti che ancora per due anni credono di tenere in piedi il potere mussoliniano a Salò, Tanto erano diventati leggendari il nome e la figura di Muti che finirono appiccicato a una delle storie più nere della nera storia del fascismo, quella della Legione Autonoma Ettore Muti, appunto.
L’incontro di Messina, ora vuol fare il punto, al di là delle commemorazioni, sulla Storia.
L’unico raggruppamento di memoria storica che raccoglie in sé cameratescamente gli ultimi Combattenti dell’Onore ed i giovani che intendono portare avanti il testimone in continuità Ideale con i postulati del socialismo nazionale della Repubblica Sociale Italiana e che rappresenta la maggioritaria volontà di non cedere di un metro dalle proprie certezze, in collaborazione con chi politicamente ha nel proprio progetto gli stessi postulati.
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