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RENATO ZERO – Alt

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Date a Zero quel che è di zero …
 

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La natura dell’Artista, si sà! E mutevole. Cangiante fu il liet motiv, di divenire a tutti i costi NazionalPoplare, come Morandi e Baglioni; così da quel Cattura in poi, anno 2003, l’ultima trasformazione del poliedrico pifferaio magico italiano – si è arenata ai livelli striscianti di fanfare e arrangiamenti sempre più infarciti di tenerezza e arrendevolezza musicale. Da tant’è – il nostro, ha smesso di incantare quella parte attiva di sorcini allo stato puro, ormai traditi, dalle sue stesse affermazioni, sempre più distanti, dalle bizzarre mises di quel clima fiabesco che solo Lui, in Italia, era in grado di creare.
La voce è sempre quella: calda, profonda, ancor più incantevole, ma le note fin troppo infarcite che bazzica, stentano a voler riconoscere quello stesso Renato Zero che di lustrini e tendoni, aveva smosso la ben pensante ipocrisia dei cristiani, ormai anch’essi entrati a far parte del patrimonio musicale del Nostro. Ma se già nel 1993, un profetico Eros Ramazzotti in “Non c’è più fantasia”, puntava il dito contro il “Santautore”, oggi più che mai, quelle parole risuonano reali e tangibilmente concretizzate.

L’artwork del cd, non smentisce la parte felina similpelle di Renatone, e ai più tornano in mente le apparizioni – oserei dire trash di quel Voyeur del 1989, ma qui, la provocazione si ferma solo all’immagine.

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Il sunto del disco e delle parole, si riassume nell’Oggi, nel Presente, come ha già spiegato l’artista, in un infuocata conferenza stampa di presentazione dell’album, ma .. Presente non era già il titolo di un precedente disco del 2009?

Temi scottanti, a dire dal nostro: famiglia, violenza, politica, Isis, chi più ne ha più ne metta, giornalisti compresi. Nulla di nuovo, alla luce dello sguardo severo e nero, della copertina, tematiche più volte trattate in precedenti lavori ancor più schietti e sinceri, come quel capolavoro de L’imperfetto del 1994.

La penna, del Sig. Fiacchini, nei testi, si fionda come un fiume in piena. Riconoscibile in Gesù, tra domande e spiritualità da sempre inseguite dallo stesso, da Il Cielo, Potrebbe Essere Dio e Ave Maria in poi.

Gli anni miei raccontano, l’ennesima recensione di se stesso, In questo misero show, poi ancora Il tuo sorriso.

Quattordici tracce ben curate, arrangiamenti che rasentano la perfezione, grazie al fido Phil Palmer, senza dimenticare autori e compositori eccellenti, come Maurizio Fabrizio e Vincenzo Incenzo, ma tanto per cambiare, trattasi dell’ennesima saga del polpettone neanche più tanto Vintage, poichè finalmente, il nostro Zero, torna a parlare di alieni, e tirar fuori dal suo cilindro, quel David Bowie tante volte accostato negli anni ’70 a lui, in quanto a provocazioni …  Ma sarebbe meglio, lasciar riposare in pace, la BlackStar dell’Artista inglese, nulla a che spartire, con lo stereotipo melenso e maccheronico del Sig. Fiacchini.

Dunque, un disco dalla grafica aggressiva, che non riuscirà a lenire, la vera percezione di un sound piatto, fine a se stessa, che dopo Ero-Zero di quel 1979, non ha saputo più trovare stimoli interessanti e sperimentali, ma che album dopo album ha solo riprodotto un classico e ripetitivo elogio mediocre di canzonetta come la miglior tradizione italiana esige.

Un album per ogni palato esigente, ma non per i veri sorcini.

Salvatore Piconese

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