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ANTONELLA NIERI – Ci parla del “suo” Abbraccialo per Me

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Spettacolo foto

Un’intervista in cui l’attrice orlandina, qui sceneggiatrice, ci e si racconta dopo ques’esperienza con Vittorio Sindoni. Il film uscirà il 21 aprile nelle sale italiane. Il 31 marzo scorso è stato proiettato nell’ambito del festival della salute mentale “Lo spiraglio” che si è svolto al museo Maxxi di Roma. Domani, 14 aprile ci sarà un’anteprima al Cineteatro di Capo d’Orlando. Il cast è notevolissimo con Antonella Nieri ci sonoStefania Rocca nel ruolo della madre Caterina, Moisè Curia nel ruolo del figlio Ciccio ma anche Vincenzo Amato, Giulia Bertini, Pino Caruso, Paola Quattrini, Luigi Di Berti, e tanti altri.

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Cosa rappresenta per te il film “Abbraccialo per me”?

“Abbraccialo per me” rappresenta la possibilità di parlare di una tematica importante, quella della salute mentale, che a me sta molto a cuore, ma ha rappresentato anche la possibilità di lavorare sulla scrittura di un film al fianco di persone che lo fanno da molto tempo e da cui ho imparato tanto.

vittorio sindoni registaCome nasce questa esperienza con Vittorio Sindoni?

Nasce nel 2012, il giorno che ho finito di scrivere il mio racconto “Il contagio” a cui il film si ispira. Scritto per la necessità di elaborare un’ esperienza personale dolorosa e difficile ma che riguarda tante famiglie che si fanno carico, spesso nella solitudine più amara, di un dramma, quello della malattia mentale, che è più diffuso di quanto si possa immaginare. Così un giorno d’estate, ho deciso di passare sotto il patio della casa al mare di Capo d’Orlando del regista Vittorio Sindoni, per fargli leggere questa storia, certa che avrebbe colpito la sua sensibilità. E così è stato. Dopo qualche mese, nonostante mille perplessità iniziali, aveva già deciso di farne un film e con coraggio poi anche di produrlo.

Quindi è una storia vera?

Preferisco dire che il film è ispirato ad una storia vera, come lo è del resto il mio racconto “Il contagio”. E’ chiaro che in una trasposizione cinematografica molte cose cambiano e diventano funzionali alle esigenze dello schermo e anche a quanto e cosa il regista sceglie di dire o rappresentare. Vittorio ha puntato il suo occhio su un rapporto strettissimo tra una madre e un figlio. Il mio racconto pone l’accento sul contagio del pensiero schizofrenico, sull’impossibilità di sfuggire a tutto questo, sull’abuso di psicofarmaci che spesso causa altre gravi malattie, ma come nel film, rappresenta il barometro di una società che non riesce a gestire e supportare il malato mentale.


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Cosa significa disabilità mentale per te?

Non amo la terminologia della disabilità, preferisco parlare di abilità diverse, come diversi sono gli esseri umani e per questo tutti da rispettare. Dietro questi termini si nasconde spesso retorica e pietas ipocrita. Per me esiste solo il concetto di valorizzazione delle varie abilità. Un malato di mente ha necessità di essere accolto e supportato, accettato e amato. La malattia mentale ha bisogno di azioni non di giustificazioni. Non ho voluto più sentire i termini malattia mentale e psichiatria perché ancorati ad una modalità vecchia, di abuso di psicofarmaci e di contenzione, nonostante Basaglia . Ho ricominciato da poco, dopo aver letto un bellissimo libro “Il manicomio chimico” di uno psichiatra riluttante come Piero Cipriano. Ecco questo libro mi ha chiarito e avvalorato molte cose che pensavo, soprattutto perché scritte da un esperto e mi ha fatto sentire meno sola. Poi ho scoperto un mondo nuovo come Unasam (unione nazionale delle associazioni per la salute mentale), ma anche altre piccole realtà che mi fanno sperare in un cambio di rotta.

Qual è adesso il rapporto con il tuo lavoro?

Cerco di lavorare, ora più che mai, su tematiche e necessità che siano coerenti con la mia sensibilità. Mi sto occupando a questo proposito di un progetto importante proprio in Sicilia insieme alla cooperativa “Crescere insieme” di S. Agata di Militello che lavora sulla valorizzazione delle potenzialità di coloro che vengono definiti “diversi”. Questo mi gratifica molto. Poi sto lavorando a un bellissimo progetto teatrale per la prossima stagione ma è prematuro parlarne e replico ancora dopo due anni lo spettacolo sulle donne che si sono ribellate alla mafia, uno spettacolo di coscienza civile che ci da sempre soddisfazioni.

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Il teatro è morto secondo te?

No. Il teatro non morirà mai. Bisogna tornare a farlo dappertutto, per le strade, tra la gente. Abbandonare tutto ciò che si è istituzionalizzato e politicizzato nel senso peggiore. Il teatro svolge tante funzioni importanti, compresa quella di poter tornare a parlare di politica nel senso più alto, quella che coincide con l’anima dei cittadini ma forse auspico a un ritorno e a un ruolo centrale dei filosofi di cui abbiamo tanto bisogno.

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Sbaglio o come sceneggiatrice sei tornata al tuo cognome d’origine

Il mio diminuitivo teatrale Nieri nasce circa vent’anni fa, quando su un manifesto mi scrissero Antonella Giardiniera e allora l’idea di essere associata ad un sottaceto non era il massimo e poi era lungo. Così tagliai il mio cognome in due parti. Adesso mi piace scherzare su questo, Nieri attrice e Giardinieri autrice? Sicuramente sono le due parti di me.

Pensi che la scrittura sia un’altra strada per te?

Non basta scrivere o avere la passione, bisogna imparare a farlo bene, lavorare sodo, leggere moltissimo e confrontarsi. Io lo sto facendo… vedremo.

Torniamo ad Abbraccialo per me. Quando esce nelle sale?

Il 21 aprile uscirà ufficialmente nelle sale italiane. Il  31 marzo scorso è stato proiettato nell’ambito del festival della salute mentale “Lo spiraglio” che si è svolto al museo Maxxi di Roma. Il 14 aprile ci sarà un’anteprima al Cineteatro di Capo d’Orlando. Ricordo il cast notevolissimo con Stefania Rocca nel ruolo della madre Caterina, Moisè Curia nel ruolo del figlio Ciccio ma anche  Vincenzo Amato, Giulia Bertini, Pino Caruso, Paola Quattrini, Luigi Di Berti, e tanti altri.

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Allora tutti al cinema?

Tutti al cinema.

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“Abbraccialo per me” film. Regia Vittorio Sindoni

Sceneggiatura: Vittorio Sindoni, Angelo Pasquini, M. Carmela Cincinnati, Antonella Giardinieri.

Il film è liberamente ispirato al racconto inedito “Il contagio” di Antonella Giardinieri (Nieri) ed è ispirato a una storia vera. E’ stato proiettato il 31 marzo al museo Maxxi, nell’ambito del festival della salute mentale “Lo spiraglio”. Uscirà nelle sale il 21 aprile.

Nel cast Stefania Rocca, Moisè Curia, Vincenzo Amato, Giulia Bertini, Pino Caruso, Paola Quattrini, Paolo Sassanelli, Luigi Di Berti.

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Trama: Da bambino Francesco “Ciccio” è un ragazzino come tanti, vivace, allegro, con la passione per la musica. Il suo strumento è la batteria, e la suona di giorno ma anche di notte. Le prime “stranezze” di Ciccio, per i vicini di casa, i compagni di scuola e l’insegnante sono espressione di “diversità”. Sua madre Caterina non vede, o forse non vuole vedere le sue stranezze perché riconoscere la diversità di suo figlio le farebbe troppo male. Suo marito Pietro, il papà di Ciccio, non vuole riconoscere il legame simbiotico tra madre e figlio, non ne accetta l’esclusività, ne è geloso. Gli altri si confrontano con le stranezze di “Ciccio” come possono: a volte con comprensione, e a volte, come spesso avviene nella realtà, con cattiveria. Per Caterina “Ciccio” è solo il figlio amatissimo che lei difende dal mondo, come una leonessa.

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