Un film da vedere, attualissimo “Machete”. Non è necessario costruire un muro: spesso basta convincere tutti che sia necessario farlo
“Machete” è un film del 2010 di produzione americana, scritto da Robert e Rebecca Rodriguez, prodotto (anche) da Quentin Tarantino e diretto dallo stesso Rodriguez e da Ethan Maniquis.
Vero e proprio “cult” sin dall’apparizione del finto trailer all’inizio di “A prova di morte” di Quentin Tarantino, “Machete” racconta l’avventura violenta e ricca d’azione dell’omonimo ex-poliziotto, invischiato tra mafia messicana, politica americana, razzismo e povertà: si farà strada, e giustizia, attraverso chiunque sia così pazzo da cercare di mettergli i bastoni tra le ruote.
Esistono film, soprattutto nella nostra epoca, quella di Internet e del dilagare incontrollato del concetto di “hype” (aspettativa, facendola molto semplice), che acquisiscono fama e notorietà persino molto prima di uscire nelle sale… se non addirittura prima di entrare in produzione.
“Machete”, commedia d’azione basata sulle atmosfere exploitation del cinema di serie Z americano, è senza dubbio il più grande esponente di questa fittizia categoria: è bastato infatti un finto trailer all’interno di un altra pellicola, e, diciamocelo, la faccia di marmo di quel folle di Danny Trejo, per far vibrare le antenne di praticamente ogni potenziale spettatore sulla faccia della Terra.
E a ragion veduta; chiedetemi quale sia il miglior film d’azione del 2010 e, come tanti altri, d’altronde, non potrò che rispondervi con una qualunque delle iconiche battute del film.
O ricordando come quella del boss della droga Rogelio Torrez sia l’interpretazione più convincente di Steaven Segal da 10-15 anni a questa parte.
Ma, credetemi, non è solo questo che rende “Machete” tanto grande. Specialmente adesso.
A differenza del secondo capitolo (valido quasi tanto quanto questo, ma sicuramente più improntato alla commedia e all’azione in quanto tali), “Machete” regala a chi riesca a vederle alcune piccole ma potenti schegge di critica politica nel tratteggiare un rapporto tra Stati Uniti e Messico fermo, si direbbe, a decine di anni fa ma in effetti assolutamente realistico: i messicani vengono visti, dai cugini del Nord, unicamente come possibile “forza lavoro” (legale o meno), come carne da macello da sfruttare tenendola però a debita distanza.
Un parente scomodo di cui sai che non potrai mai liberarti, ma dal quale cerchi di allontanarti in ogni modo possibile.
Penso non sia necessario ricordare quanto, in queste ultime settimane, il rapporto tra Stati Uniti e Messico sia motivo di discussione a livello internazionale (assieme a tante altre cose), ma credo la riflessione debba andare a toccare, in modo più generico, anche il rapporto tra noi europei e i tanti profughi/migranti/richiedenti asilo che ci siamo trovati letteralmente davanti alla porta di casa: non è forse identico a quello di alcuni personaggi del film, l’atteggiamento di diffusa aggressività e malcelato sospetto che adottiamo nei loro confronti?
Pere leggere tutto l’articolo di Simone Giraudi cliccare sul link.
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